Articolo di Paolo Marzano
La parola "flusso", segue per assonanza la sinuosità delle linee che la definiscono e i segni che tracciamo per scriverla. Praticamente essi, coincidono con l'azione che comunica il suo significato. Un esempio di questo genere (Bruno Zevi citava Roland Barthes e il suo saggio linguistico
"Sarrasine" di Balzac, S/Z, l'argomento riflessivo e come al solito puntuale, del critico, riguardava la sinuosità della "S" rispetto alla razionalità e la durezza della "Z"), lo troviamo nell'evoluzione nell'architettura di Peter Eisenman nel Wexner Centre e Zaha Ahdid nella caserma dei vigili del fuoco; la ricerca progettuale dichiarata, ora si evolve e i riferimenti grafici mostrano le loro colte conseguenze, l'abbandono delle forme acuminate come armi che, sceglievano così, di impadronirsi dello spazio. Erano come perversi prismi aberrati, pronti a scivolare per incunearsi e dilaniare l'aria, o le griglie modulari grazie alle quali, l'architetto ci ha dimostrato l'assurdità della rigidezza dei "dogmi". Diventa quindi comprensibile, la logica conseguenza nell'esplorare, la convincente e
progettualmente, opposta ricerca compositiva. I segni "acuminati", hanno lasciato il posto ad onde e flussi di correnti, una disinvolta e morbida dinamica liquida, che si realizza come verifica delle possibilità immaginifiche dell'epoca che li ha generati.
In un presente sollecitato da problematiche che assumono giornalmente caratteristiche sempre più importanti, si rivela necessaria un'analisi dettagliata, disposta ad indagare nuove forme concettuali di spazio. Seguire
scrupolosamente, le strutture evolutive, nelle quali esso, riesce continuamente a trasformarsi. Diventano preziose perciò, tutte le possibili e nuove riflessioni sullo spazio. Sia dell'ambiente, intorno all'uomo e ai suoi movimenti, fino alla scala urbana dove egli stabilisce le sue condizioni relazionali di esistenza. Tutto ciò immerso in una rete di connessioni e tra queste ci sono le merci, i flussi di gente, di notizie ed informazioni, che uniscono, confrontano, adeguano e riparano, offrono e conservano, moltiplicano e sconvolgono, rendono tutto più movimentato ed emotivamente vivo. L'architettura, che si voglia o no, è primo testimone di queste epocali trasformazioni nel sistema della città (ricordo che "città" indica,qui, un'insieme di elementi fisici e percettivi legati indissolubilmente).Uno degli aspetti che affronteremo, è l'osservazione che riguarda la definizione dell'"AMBITO variabile". Soggetto determinante nella teoria dell'informazione e della
relazionalità, dato da alcune caratteristiche che andremo ad individuare. Lo scopo sarà quello di indagare l'estensione del termine e definire un suo intorno di appartenenza, generato da alcune forme o frammenti di esse, individuati nella proliferazione incessante di riferimenti esistenti in questa realtà. Il loro incontro infatti, (a volte casuale) stabilisce e crea condizioni nuove che definiremo, qui, appunto come "AMBITI variabili". In essi confluisce l'energia del significante, la percezione è stimolata, e l'opera creativa della mente, senza nessun ordine particolare, si mette a creare e definire sagome e stabilire profondità quando, tutto questo, non è atteso. Nasce così l'ambito. E' un "non-luogo" inteso, però dinamicamente, esiste in una zona di vicinanza e contemporaneamente di transizione, ha in sé una componente di movimento che si trasforma, come la regolazione della profondità di campo di una macchina fotografica. Per "AMBITO variabile" si intende un luogo di passaggio indefinito, ma attivo. Esso si trova intorno a forme non concluse, viaggia nel loro margine, nello spazio che le separa dal fondo. Capace di innescare l'elaborazione di nuove varianti percettive, l'ambito genera una confluenza e un'attività
segnica. L'ambito sceglie un tempo suo che coinvolge la percezione visiva, dettandogli regole e ordini nuovi. Un gioco di affinità e differenze spaziali, ancora tutte da indagare.
Daniel
Libeskind, Manchester, Museo per il
ricordo delle atrocità della guerra.
La confluenza quasi casuale di segni, quindi genera gli AMBITI variabili. Si scorgono lì, dove l'esplorazione di frammenti dello spazio
disindividuati, inseriti in un tumultuoso sistema di relazioni. Esempi di possibili costruzioni d'AMBITO variabile, sono quelli che dimostrano come, nello spazio si possono identificare delle direttrici dinamiche libere o tracce indipendenti, delineando, luoghi percettivi di riconosciuta attività. Una pratica realizzazione di questo AMBITO variabile, lo ha generato Libeskind che, nel suo museo deconpone la sfera terrestre e ricompone i pezzi che la costituivano, ma il senso generale ne è sconvolto e la razionale sistemazione, si dissolve in unioni tanto casuali quanto azzardate, come se mancasse il senso o la verità delle cose. La scomposizione che risulta è sconcertante. Esattamente ciò che rimane, nella mente di chi ha vissuto la guerra, rivelando un ordine d'idee irregolari e incastrate casualmente, con pezzi sopravvissuti all'irrazionale catastrofica realtà in cui, la verità (si sa, ma è bene ripeterlo) è la prima vittima. Ancora una volta Libeskind ha generato dei segni maturi ed il risultato è un pregevole elogio allo spazio. L'individuazione dei "pezzi" che costituiscono la struttura suggeriscono una strada, AMBITO di confluenza, organica e attiva, come se fosse un vulcano di cui (visivamente) sentiamo il ribollire, prefigurando una prossima eruzione,
l'espansionedi energia stimolata da questi segni verifica l'esistenza dell'AMBITO variabile.
Oppure l'opera recente di Zaha Ahdid che nelle sue sinuose fasce, nel progetto del Centro di Arte Contemporanea, non si allontana dalla visione del maestro svedese Alvar
Aalto. L'architetto finlandese elogia la cultura artigianale della materia legno, ha tratto con "sensibilità ", ciò che ora diventa, con Z.Ahdid materia prima figuratamante
"assonante", rivista secondo le tecniche contemporanee. Generati da complesse e capienti memorie informatiche i segni scorrono in flessuosi nastri creando un'AMBITO vibrante, un nuovo linguaggio visivo e comunque interpretativo di energie e nuove dinamiche spaziali. Il lavoro dell'architetto iracheno stabilisce regole formali. Ancora una volta la descrizione e la possibilità di individuare delle direttrici grafiche-spaziali, aumenta
percettivamente, la lettura di uno spazio.
Zaha
Hadid, progetto per il Centro delle Arti contemporanee, Roma
Che siano superfici o piani, con tagli, prospettive
aberratissime, nastri fluttuanti, essi, rispondono tutti ad un'unica regola; quella della visualizzazione dello spazio e dei suoi codici. L'esperienza di Zaha Hadid è certa, come la sua bravura, i metodi per raggiungerla nella pratica costruttiva architettonica, rientrano fisicamente in sistemi "formali" già visitati formalmente da Alvar Aalto per cui ora, aspettiamo il prossimo salto di qualità. E sappiamo bene, che Zaha Hadid lo può fare benissimo. Alvar Aalto "crea" dalla natura del legno l'AMBITO variabile, Zaha Adid lo "tratta", come un codice interpretativo nuovo adeguandolo allo spirito di questo tempo.
Alvar Aalto, Teatro dell’Opera, Essen -
Auditorio scuola di Otaniemi -
Centro parrocchiale Wolfsburg Riola Vergato (Bo)
Non tralasciamo l'elegante rigatura del maestro artigiano finlandese che nella sua naturale eleganza e perfezione, esprime in pieno le possibilità comunicanti del legno, trattandolo in maniera egregia ed evidenziandone una figurazione segnica "assonante". Comunque lasciamo ai lettori l'approfondimento della tecnica di lavorazione del materiale, la quale sicuramente dà la possibilità, a livello progettuale, di generare forme e molteplici possibilità creative. Santiago Calatrava adotta questo sistema già da molto tempo nelle sue architetture, riconoscendo a questa tecnica una meravigliosa potenza comunicante e tecnologicamente attiva, sia per un discorso percettivo che costruttivo dichiaratamente anatomico e staticamente pregevole.
L'architettura, immersa in ricerche estreme, è, (lo è sempre stato) un materiale da laboratorio sperimentale. Sembra sia in preda a movimenti tellurici, definiti da superfici corrugate e piani sollecitati che disegnano delle pieghe, derivate da magmatiche insofferenze formali. Le superfici si adagiano, rimanendo instabili come le utopie che le hanno generate. Architetture affascinanti che aprono spiragli nuovi per una libera e quanto mai spregiudicata sperimentazione. Si scopre un discorso diverso d'ambientazione, e l'intorno vibra proprio come la conoscenza che una"città della cultura" deve trasmettere. E' quello che ci mostra l'evoluzione sempre d'alto livello della riceraca Eismaniana. I flussi, sia delle informazioni, delle merci quindi dei messaggi che esse trasportano, dei viaggi di individui, sono comunque testimonianza di spostamenti, di variazioni d'AMBITO, dati dal tempo e nello spazio. Essi, hanno inciso nello spazio nuovi solchi e la scultura della realtà che viviamo, ha proiettato intorno a sè, nuove visioni urbane e nuove pratiche d'intervento per le ricerche architettoniche. Flussi quindi, come incontenibili e straripanti torrenti, scivolano senza seguire direzioni, non esistendo argini che possano trattenere la loro potenza divulgatrice hanno disintegrato la loro antica localizzazione e hanno cavalcato i vettori umani nelle loro più diverse possibilità trovando strade impensabili e mai tradotte secondo questi scopi. I flussi hanno cosumato il concetto di localizzazione, di coordinate fisiche, desll' essenza del mondo materiale.
Vorrei si riflettesse, però su un concetto, che come sempre questi articoli si propongono di fare, un aspetto della realtà che viviamo e di cui bisogna tenere conto. Bene, l'informazione, come sappiamo, regna incontrastata il nostro tempo e le nostre visioni, con essa tutto un nuovo genere di relazioni, ma è vero anche che l'informazione segue una velocità e non ammette ingerenze e appesantiti parametri, come il "tempo" e la "distanza", quindi è l'informazione stessa, che tende ad sottolineare un entropico degrado dello spazio. Esso finisce per essere un ostacolo, come un'incrostazione destinata, con il tempo, a scomparire.
Paradossale!
Una realtà aberrante che s'inserisce nell'architettura contemporanea, di cui bisogna studiarne le caratteristiche per scoprirne i limiti e le compromissioni. Una nuova strada possibile di ricerca! Come può, infatti, un elemento che nega totalmente lo spazio, diventare promotore di nuove idee e della sua stessa nuova concezione ed evoluzione?
Questo è un nodo da chiarire, sicuramente alimenta la teoria sull' "AMBITO", come luogo da tradurre in forme e relazioni che diventeranno argomenti di discussione. D'altronde è lapalissiano che l'interattività si rivela come uno scambio veloce, un'azione che nella sua presunzione ubiqua, può evolversi in diverse maniere, ma fugge da qualsiasi compromesso formale; il segno e lo spazio vengono azzerati. Dentro questa realtà, consapevolmente, s'inserisce con molta complessità, il nostro discorso che riguarda gli AMBITI variabili, la teoria dell'AMBITO variabile vuole, in effetti scoprire quando e in quali casi, lo spazio (ente supremo dell'architettura) cessa la sua funzione e passa in secondo piano. Gli AMBITI variabili, allora tentano di ridefinire questa dimensione, per visualizzarla e quindi
comprenderla. Una problematica che ha bisogno di alimentarsi di nuovi discorsi sulla velocità tecnologica e aprire nuove tematiche su questo nuovo tipo di relazione, che tale paradosso genera. AMBITO come evoluzione dinamica, componente fondamentale di confronto. Un tempo, questo concetto si agirava tra definizioni progettualmente concrete come lo spazio "evenemenziale" di Bernard Tschumi o "interstiziale" di Peter Eisenman o ancora "eterotopico" come l'ha definito Michel Foucault, poi la visione pian piano diventa più nitida. L'architettura e la sperimentazione di questo momento ne è la prova. Luoghi dell'attraversamento, luoghi negati dall'evidente essenza dell'informazione, aree indomabili e incostringibili, ma visibili ai pochi capaci di porsi, le giuste domande. Una questione, che dalle premesse, palesa una complessità d'intervento mai affrontata prima. Uno dei rischi, sembrerebbe quello che l'informazione releghi all'architettura un posto fascinoso e stimolante mostrandone maliziosamente i suoi aspetti, spietatamente vendibili, magari come vettore di nuove varianti, però basate su esplicite tecniche di mercato magari rinnovandole l'immagine e rivestendola di attraenti maquillages, testurizzandola a seconda del programma di rendering in voga. Teniamo presente che questo però, allontana l'interesse dell'architettura dalla sua essenza, la relazione principale tra la vita dell'uomo e il suo ambiente.
Plastico
con l’inserimento urbano e il cantiere a
Santiago de Compostela del progetto di Eisenman
Le nuove architetture, pur pregevoli e straordinariamente colte, diventano facile materiale di consumo visivo, se non sono descritte o mostrate nella giusta luce. Infatti, sono tentate da un'aura di apprezzamenti, decadentemente edonistici, capaci di porre una condannabile distanza dall'esperienza diretta. L'architettura, così procedendo, rischia di essere protagonista di un'esposizione permanente di gabbie dorate, teoriche, inserite in una vasta e terrificante "mostra delle atrocità", (parafrasando l'opera di Ballard, non lontano da questa visione). Il fenomeno purtroppo è direttamente proporzionale, in quanto, la validità di certe architetture aumenta la possibilità di agganci e sfruttamenti mediali, la cui velocità di divulgazione non fa recepire il significato contemplativo e materiale della visione architettonica. Il fenomeno in breve tempo, andrà a dilatare la distanza che si sta creando tra l'uomo e l'interazione del suo ambiente; una distanza, ora, diventata troppo "mediale".
|
|
|
P.Eisenman,
Santiago de Compostela , rendering
interni
|
|
A.Aalto,
Padiglione finlandese a N.Y. 1939 |
Certo che rispetto a ciò che succede per questo fenomeno prettamente progettuale ci sarebbe da riferirsi ad una nuova tendenza ad una nuova teoria o meglio di una profetico ideale di "estetica della sparizione" che dopo stagioni di brillante manualità e ingegno, tecnologicamente valido, aderisce un po' troppo frettolosamente a pratiche strategiche commerciali.
L'architettura divenuto vettore d'informazione, consumata la sua parabola si contrae sparisce e si rigenera in una velocità allucinantemente catastrofica, rimane l'informazione che continuerà a cavalcare onde architettoniche descritte più come apparenze, o riflessi opachi di architetture.
Pieghe terrestri, evidentemente generate da AMBITI variabili, esperimenti emblematici di nuove varianti progettuali e teorie di una nuova visione, forse un'idea di continuità dello spazio, forse AMBITI variabili di origine proteica facenti parte del DNA dello spazio, forse una realtà individuabile solo agli occhi dell'uomo nomade che vivrà dell'alternanza veloce di pieni e vuoti, dati dallo spostamento, dal viaggio, dalla ricerca continua, della sua peregrinazione informazionale. Oppure il vano tentativo di ricucitura dello strappo mitico dell'uomo e la sua terra, del suo spazio dalla sua vita. Il progetto di individuazione della scala d'AMBITO variabile, è l'evoluzione naturale del luogo "altro" celebrato negli ultimi anni, è il focalizzare maggiormente ed osservare al microscopio l'intima struttura dell'informazione capace di annientare come di essere la soluzione. Questa analisi può essere capace di rivelarsi come un inizio qualificante e, perché no, una nuovo elemento da sommare all'epoca progettuale dichiaratamente "superiore" perché attenta ai fenomeni di trasformazione percettiva, di cui c'è tanto bisogno nel panorama architettonico contemporaneo.
“
Più i telescopi saranno perfezionati, più stelle ci
saranno.” (Flaubert)
Studi
sulla percezione dell’AMBITO architettonico, archivio di Paolo
Marzano02
Fonti
iconografiche:
-
Area n° 63,
-
Casabella n° 670,
-
Karl Fleig (a cura di), Alvar Aalto, Zanichelli,
-
"Studi d'AMBITO", dall'archivio di Paolo Marzano
-
Domus 848,
-
Domus 851.
|